Applausi a scena aperta per le variazioni di Michele D’Ambrosio

Entra in scena in punta di piedi. Timido, minuto, apparentemente gracile e dall’età indefinibile (“Quanti anni avrà? Trenta? Quaranta? Domanda la signora ingioiellata che ha preso posto in prima fila, e lo osserva attentamente attraverso due spessi occhiali a goccia”). Quando però si accomoda nel piano, quando cala il silenzio (a dire il vero stasera non religiosissimo, per via di un pubblico numeroso, vario ed eterogeneo) qualcosa di magico si crea immediatamente: ed è subito aura. Michele D’Ambrosio è questo, e molto altro – insondabile, da scoprire nota dopo nota – e il pubblico di Campo di note lo sa: lo avverte a pelle, ed è per questo che il feeling tra il musicista e la platea ogni anno si rinnova, eternamente identico all’eguale.

“E’ vero” ammette il pianista, a fine concerto, in sala stampa: “Anche se non si è mai soddisfatti del lavoro svolto, quest’anno posso dire di aver sentito un coinvolgimento particolare. Da cosa me ne sono accorto? Dal fatto che quel tempo trascorso sul palco mi è sembrato brevissimo: è la durata interiore di Bergson. Quando si sta bene il tempo vola. E a Campo di Giove io sto benissimo: mi sento come a casa”.

Filo conduttore del live, le variazioni, in un originale certamen: “Beethoven versus Brahms”. “Ho portato in scena due maestri del tema” spiega D’Ambrosio “nessuno come loro ha saputo, nella musica, partire da un tema per sviscerarlo in mille declinazioni diverse. Il genio di Beethoven è noto, ma nelle variazioni intensifica i valori ritmici, rendendoli se possibile ancora più intensi. Brahms invece nelle variazioni mette in risalto la sua spregiudicatezza: è capace di stravolgere tutto, lasciando intatto il suo ardore romantico”.